di Aldo Santini
pp. 64, f.to 12×16,5, 2000
ISBN 978-88-7246-416-8
Esaurito
Livorno cacciucco di genti. Naturale che il suo piatto principale sia un cacciucco di pesci. Pesci da pochi soldi (allora) ma belli pieni: seppie e polpi, palombo e grongo, cappone e scorfano, gallinella, cicala, sugarello. Pane abbrustolito sul fondo e zenzero. E accompagnatelo con il vino rosso giovane. Guai a voi se ci bevete vino bianco: questo errore lo fanno soltanto i gastronomi ufficiali, che magari dicono cacciucco con quattro “e”, come ho letto sulla rivista di cucina più patinata d’Italia, “Grand Gourmet”. Il cacciucco è una zuppa da pescatori assaettati, con il bicchiere a garganella e le voglie ferine. “Una libbra di pesce a bocca” consiglia una ricetta granducale. E il Diacinto Cestoni, l’amico dei camaleonti affrescato da Emilio Cecchi, nasuto, un po’ bolso, i lunghi e radi capelli grigi che di sotto lo zuccotto nero gli scendono fin sul groppone, speziale e filosofo, personaggio della Livorno seicentesca, definito il primo biologo del suo tempo, grida con voce sarcastica ai “briai” gonfi di cacciucco e di vino: “Mangiate meno, o budelloni!”. Dove budelloni sta per ingordi, chiariva ridendo Paolo Zalum, storico del cacciucco e delle altre godurie livornesi da servirsi calde. L’origine del cacciucco? Zalum, che aveva l’amore dell’aneddoto pepato, avrebbe dato chissà quanto per attribuirne la paternità ufficiale al guardiano del Fanale. C’è un editto della Repubblica Fiorentina in cui si proibiva al suddetto guardiano di friggere il pesce. Ovvia la ragione, n Fanale accendeva i suoi lunghi sguardi circolari con l’olio alimentare e se il birbac-cione annegava la solitudine nei fritti misti, il lume rimaneva fioco. Di qui il lampo di genio del cacciucco: olio scarso, pesci di seconda scelta, ne mangi una scodella e sei a cavallo, con pochi cittì. “E se ‘n ti galba, stiaffaci una bella fetta di pane sotto”.
Comments are closed.