di Niccolò Scaffai
pp. 252, f.to 15×21, 2002
ISBN 978-88-7246-531-8
Esaurito Disponibile in ebook su Torrossa
In una intervista del 1951 Montale spiega quale sia l’argomento della sua poesia.
“L’argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell’avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza e volontà, di non scambiare l’essenziale con il transitorio. Non sono stato indifferente a quanto è accaduto negli ultimi trent’anni; ma non posso dire che se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe avuto un volto totalmente diverso. (…) Fra questi avvenimenti che oso dire esterni c’è stato, e preminente per un italiano della mia generazione, il fascismo. Io non sono stato fascista e non ho cantato il fascismo; ma neppure ho scritto poesie in cui quella pseudo rivoluzione apparisse osteggiata. Certo, sarebbe stato impossibile pubblicare poesie ostili al regime d’allora; ma il fatto è che non mi sarei provato neppure se il rischio fosse stato minimo o nullo. Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la guerra civile più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me ragioni di infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni. Ritengo si tratti di un inadattamento, di un maladjustement psicologico e morale che è proprio a tutte le nature a sfondo introspettivo, cioè a tutte le nature poetiche. Coloro per i quali l’arte è un prodotto delle condizioni ambientali e sociali dell’artista potranno obiettare: il male è che vi siete estraniato dal vostro tempo; dovevate optare per l’una o l’altra delle parti in conflitto. (…) Rispondo che io ho optato come uomo; ma come poeta ho sentito subito che il combattimento avveniva su un altro fronte, nel quale poco contavano i grossi avvenimenti che si stavano svolgendo. (…) Dopo questa premessa posso dirvi, in risposta alla vostra domanda, che io gli avvenimenti che fra le due guerre mondiali hanno straziato l’umanità li ho vissuti standomene seduto e osservandoli. Non avevo altro da fare. Nel mio libriccino Finisterre (e basta il titolo a dimostrarlo) occupa tutto lo sfondo anche l’ultima grande guerra, ma non più che di riflesso. Nondimeno la mia reazione era tale che il libro sarebbe stato impubblicabile in Italia. La stampai a Lugano nel 1943. La sola epigrafe iniziale sarebbe stata fumo agli occhi dei censori fascisti. Essa dice: “le princes (cioè i dittatori) n’ont point d’yeux pour voir ces grandes merveilles, leurs mains ne servent plus qu’à nous persécuter…” (i principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani non servono che a perseguitarci). Sono versi di un uomo che di stragi e di lotte se ne intendeva: Agrippa d’Aubigné. In definitiva, fascismo e guerra dettero al mio isolamento quell’alibi di cui esso aveva forse bisogno.”
Montale afferma che l’argomento della sua poesia è “la condizione umana in sé considerata”, la “totale disarmonia con la realtà”.
Il fascismo e la guerra sono stati l’alibi del suo isolamento. Eppure Montale non è stato estraneo agli eventi del suo tempo, come uomo ha deciso subito e senza alcuna esitazione da quale parte stare, pagando per la sua scelta il prezzo da pagare, come poeta invece Montale dice “ho sentito subito che il combattimento avveniva su un altro fronte”.
La poesia per Montale “non è fatta per nessuno, non per altri e nemmeno per chi la scrive. Perché nasce? Non nasce affatto e dunque non è mai nata. Sta come una pietra o un granello di sabbia. Finirà con tutto il resto.” (Asor in Diario del ’72 vv.7-12)
Il poeta però non è un uomo superiore, “La poesia, del resto, è una delle tante positività della vita. Non credo che un poeta stia più in alto di un altro uomo che veramente esista, che sia qualcuno” (Intervista immaginaria). Scrivere poesie è un mestiere come un altro, il poeta deve lavorare con umiltà, in solitudine, inosservato (da un articolo del 1925 Stile e tradizione pubblicato su Il Baretti di Pietro Gobetti e poi raccolto in Auto da fé).
Nel discorso “E’ ancora possibile la poesia” pronunciato nel 1975 in occasione della consegna del premio Nobel analizzando la sorte della poesia nella società del benessere e delle comunicazioni di massa afferma “Avevo pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà sopravvivere la poesia nell’universo delle comunicazioni di massa? E’ ciò che molti si chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può che essere affermativa. (…) Se invece ci limitiamo a quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un’epoca e tutta una situazione linguistica e culturale, allora bisogna dire che non c’è morte possibile per la poesia.”
Le raccolte: Ossi di seppia 1925 , Le Occasioni 1939, La Bufera e altro 1956.
Scritte in un lungo arco di tempo e pubblicate a grande distanza l’una dall’altra le prime tre raccolte hanno molti tratti in comune.
In Intenzioni Intervista immaginaria del 1946 Montale parla della poesia delle sue prime tre raccolte.
A proposito di Ossi di seppia Montale dice “volevo che la mia parola fosse più aderente di quella di altri poeti che avevo conosciuto. Più aderente a che? Mi pareva di vivere sotto a una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo. L’espressione definitiva sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel filo: una esplosione, la fine dell’inganno del mondo come rappresentazione. Ma questo era un limite irraggiungibile. E la mia volontà di aderenza restava musicale, istintiva, non programmatica. All’eloquenza della nostra vecchia lingua volevo torcere il collo.” Montale rifiuta la poesia eloquente, di belle parole, eleganti e musicali, ma vuota e insignificante come quella di D’Annunzio per esempio, vuole arrivare al “quid definitivo”, alla “espressione assoluta” per questo “torce il collo” alla lingua poetica, e fa “cozzare l’aulico con il prosaico”, mescolando le parole alte della tradizione poetica alle parole dimesse e quotidiane. La poesia di Ossi di seppia è una poesia anti-eloquente di contenuto filosofico ed esistenziale. Montale dichiara di non voler essere un poeta “laureato” depositario di messaggi di verità (in I limoni); in Non chiederci la parola afferma “questo solo possiamo dirti ciò che non siamo ciò che non vogliamo”. Nel desolato e arido paesaggio marino ligure Montale rappresenta la condizione esistenziale dell’uomo “il male di vivere”, “la totale disarmonia con la realtà”.
In Ossi di seppia, scritti durante il periodo fascista, l’espressione di un credo negativo come quello di Montale, l’affermazione della desolata consapevolezza del male di vivere esprime una scelta di campo ben precisa anche se non esplicitamente dichiarata, il significato di una non adesione alla trionfale retorica fascista. La sorte di Pietro Gobetti, l’intellettuale liberale antifascista torinese, che aveva pubblicato la raccolta di Montale, morto venticinquenne a Parigi nel 1926 in seguito alle percosse inflittegli da un commando fascista, quella di Antonio Gramsci, intellettuale comunista rinchiuso in carcere per più di dieci anni da Mussolini, è significativa di ciò che accadeva a chi si opponeva apertamente al regime fascista.
Accanto al paesaggio arido, brullo, secco compaiono anche elementi positivi identificabili nel mare e nelle figure femminili.
In Falsetto Esterina simboleggia la forza e vitalità inconsapevole della giovinezza. Il suo tuffo nel mare diviene il simbolo di una condizione di armonia con la vita a cui il poeta è irrimediabilmente estraneo.
Parlando de Le Occasioni dice “Non pensai a una lirica pura nel senso che essa poi ebbe anche da noi, a un gioco di suggestioni sonore; ma piuttosto a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiattellarli. Ammesso che in arte esista una bilancia tra il di fuori e il di dentro, tra l’occasione e l’opera-oggetto bisognava esprimere l’oggetto e tacere l’occasione-spinta.” E’ il metodo del “correlativo oggettivo”, il termine si deve al poeta americano Thomas Stearns Eliot, che consiste nel dare “un oggetto (la poesia) in cui il motivo sia incluso in forma di suggerimento non però spiegato o commentato in termini psicologici.”
Ne Le Occasioni non cambiano i temi della poesia di Montale l’aridità e l’insignificanza della vita, la sua precarietà e inconsistenza. Il titolo rimanda a eventi illusori e miracolosi che rompono, spezzano la ripetitività e prevedibilità della vita. Questi eventi sono spesso legati a una donna, a un ricordo, a un oggetto capace come un amuleto di proteggere dal male.
A proposito della raccolta Finisterre Montale dice “Le Occasioni erano un’arancia, o meglio un limone a cui mancava uno spicchio: (…) quello della musica profonda, della contemplazione. Ho completato il mio lavoro con le poesie di Finisterre, che rappresentano la mia esperienza, diciamo così petrarchesca. Ho proiettato la Selvaggia o la Mandetta o la Delia (la chiami come vuole) dei Mottetti sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre, senza scopo e senza ragione, e mi sono affidato a lei, donna o nube, angelo o procellaria…”. Di fronte al dramma della guerra il poeta affida alla donna la sua speranza di salvezza e riscatto.
Finisterre pubblicata nel ’43 a Lugano con un’epigrafe contro le dittature non pubblicabile nell’Italia fascista contiene il primo nucleo della terza raccolta di Montale La Bufera e altro pubblicata nel 1956. La bufera, titolo della prima poesia della raccolta, è il simbolo della II guerra mondiale che imperversa e distrugge. In molte poesie eventi privati, incontri, ricordi, riflessioni, si intrecciano a fatti storici: la visita di Hitler a Mussolini a Firenze in La primavera hitleriana, la Guerra fredda in Piccolo testamento. Lo stile della raccolta è alto, allegorico, oscuro.
Comments are closed.