di Marco Paoli
pp. 48, f.to 29×21, ill.col. e bn., bilingue italiano-inglese, 2016
ISBN 978-88-6550-545-8
€ 8,00
Il dipinto, opera del pittore lucchese Domenico Brugieri, uno dei primi maestri di Pompeo Batoni, fa parte della collezione dell’autore. La scena, che non corrisponde a nessuna delle tradizionali iconografie dell’epoca, ricorda assai da vicino il tragico epilogo dell’Amleto (Atto V, scena II), con Gertrude che ha appena bevuto dalla coppa avvelenata (in primo piano è una brocca da cui sgorga del vino) e che si rivolge affettuosamente al figlio, e con Amleto che affronta lo zio Claudio costringendolo a bere il residuo veleno della coppa.
Nonostante che Shakespeare cominci ad essere noto in Italia solo nell’ultimo quarto del Settecento, e nonostante che i primi dipinti dedicati ai suoi drammi, come è noto, siano opera di pittori che lavoravano per committenti inglesi, una serie di eventi che si svolgono a Lucca nel 1722 conferma la lettura del dipinto in chiave shakespeariana.
Il 10 settembre di quell’anno Giacomo III Stuart, Pretendente al trono inglese in esilio a Roma, convinto dalla benevolenza manifestata nei suoi confronti dal governo della Repubblica di Lucca e da rappresentanti del patriziato locale, decide di far stampare nella città un proclama rivolto ai sudditi di Inghilterra, Scozia e Irlanda, licenziato nientemeno che “dalla nostra corte a Lucca” (“Given at our court at Lucca”). Tre giorni prima, dopo mesi di preparativi volti ad organizzare la visita in città del personaggio, le autorità lucchesi hanno deliberato di ospitare il Pretendente nel palazzo di Raffaello Mansi (attuale sede del Museo Nazionale). La visita avviene effettivamente il 16 settembre, a conferma dell’interesse che i Lucchesi nutrono per lo Stuart, nella convinzione che la causa giacobita finisca per prevalere assicurando così alla Repubblica un “potentissimo protettore”.
E’ quindi assai probabile che il dipinto sia stato commissionato a Brugieri nell’occasione della visita del personaggio (protrattasi fino al 21 settembre), e che esso sia stato esposto nel palazzo dei Mansi come allegorico omaggio, e come manifesto pittorico da associare al manifesto politico uscito in quei giorni dai torchi lucchesi.
La raffigurazione di Amleto – simbolico pretendente ingiustamente escluso dal trono, nel momento in cui ha finalmente il sopravvento sull’usurpatore – è in tono con la retorica giacobita che vedeva nell’eroe shakespeariano il simbolo della causa legittimista; senza contare che Amleto era visto come una sorta di alter ego di Giacomo I Stuart, l’inauguratore della dinastia scozzese sul trono inglese, in quanto questi era figlio, come il personaggio della tragedia, di una donna che aveva sposato l’assassino del marito.
A questa luce acquista un preciso significato allegorico la figura del vecchio cinto della corona biblica, in atto di sguainare la spada: è il patriarca Giacobbe, re-pastore, da cui il nome dei sostenitori del Pretendente, Giacobiti appunto. La sua presenza è un chiaro riferimento al complotto organizzato in quelle stesse settimane del 1722 ai danni di Giorgio I di Inghilterra; un richiamo al braccio armato dei Giacobiti che avrebbe costituito una spina nel fianco dei monarchi Hannover, almeno fino al 1746.
E’ evidente che i committenti lucchesi di Brugieri hanno fatto ricorso ad informazioni che solo la corte del Pretendente poteva loro fornire. E’ un fatto che Francis Atterbury, principale organizzatore del complotto del 1722 e corrispondente epistolare dello Stuart, aveva familiarità con la tragedia di Shakespeare, al punto da citare a memoria una frase dell’Amleto in una lettera del luglio 1722 ad Alexander Pope, letterato che mesi prima gli aveva inviato, ancora in versione manoscritta, la sua edizione delle opere del Bardo di Stratford.
Per una bizzarra circostanza – motivata dall’ambizione (da lì a poco sfumata) dei Lucchesi di ingraziarsi il possibile futuro re d’Inghilterra -Amleto riceveva nel minuscolo stato toscano, a migliaia di miglia dalle coste britanniche, la sua prima raffigurazione pittorica e il suo primo, enigmatico volto.
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