di Paola Balducchi
pp. 80, f.to 12×16,5, 2016
ISBN 978-88-6550-438-3
€ 4,00
Ricette dall’antipasto ai dolci per una gara culinaria senza esclusione di colpi. Emilia contro Romagna, i grandi piatti della tradizione italiana, e i sapori genuini di una cucina che ha reso l’Italia famosa nel mondo
dall’introduzione di Lorenzo Bellei Mussini
«Quando incontrate la cucina emiliana, fate una riverenza, perché se la merita» sono le parole scelte dall’Artusi per presentare la grande tradizione gastronomica di questo territorio. Cucina ricca e sostanziosa, quella emiliana, ha ereditato questi caratteri dalla tradizione del ‘500-‘600, grazie alla quale Bologna ricevette l’appellativo di «grassa». Presso le corti emiliane, infatti, diversi furono i cuochi che esercitarono l’arte culinaria: Giovan Battista Rossetti e Cristoforo di Messisbugo a Ferrara,Vincenzo Cervio a Parma, Giulio Cesare Tirelli e Bartolomeo Stefani a Bologna. Questa concentrazione di cuochi in Emilia portò allo sviluppo di una tradizione gastronomica che, seppur differente tra le varie città, si sarebbe contrapposta alla «scuola romana», emanazione culinaria del potente Stato pontificio.
Principe degli alimenti che caratterizzarono questa cucina fu la carne di maiale, il cui utilizzo è attestato da fonti documentarie e non, come il mosaico nell’abbazia di Bobbio, dove è raffigurata l’uccisione dell’animale. Secondo una leggenda fu a Mirandola che vennero inventati il cotechino e lo zampone, durante un assedio da parte delle milizie di Giulio II nel 1511, quando i mirandolesi, di fronte alla scarsità di viveri, si sarebbero industriati nell’utilizzare anche le parti del maiale sin lì tralasciate, insaccando la carne nella cotenna, per il cotechino, e nelle zampe, per lo zampone.
Ma che dire, invece, della tradizione gastronomica della Romagna? Per anni, in essa, ha dominato la figura della Azdora (corrispettivo emiliano della Rezdora), regina del focolare romagnolo che, seppur di stampo patriarcale, aveva in questa figura femminile il centro della famiglia, poiché custodiva e tramandava quel ricco patrimonio culturale della tradizione contadina. Ricca di piatti e ricette derivanti da antiche tradizioni agresti, la cucina di questo territorio può essere suddivisa in tre settori: quello marino, quello delle campagne e quello ricco di carni che conserva lontani ricordi, risalenti al tempo del dominio bizantino e delle signorie.
Rispetto alla tradizione emiliana, tuttavia, mancarono in parte i grandi cuochi supportati dalle grandi famiglie, soffocate dalla dominazione pontificia. Fu forse per questa forte influenza del papato che venne dato il nome «strozzapreti» a una tipologia di pasta, così da manifestare con l’ironia tipica dei Romagnoli, l’insofferenza nei confronti della subordinazione al potere ecclesiastico. E però, pur «carente» di cuochi, fu in questa regione che nacque uno dei più celebri gastronomi e scrittori italiani, Pellegrino Artusi che, con La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, delineò le tipicità gastronomiche che gli uomini di questa area territoriale (insieme agli emiliani) produssero.
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